THE MASTER AND MARGARITA (1972)
By Aleksandar Petrovic con la Critica (nei commenti) di Tullio Kezich
E' tra i film da iscrivere nel libro nero di Kezich, mentre Arthur Frame lo considera una fotografia realistica e toccante del regime sovietico. Come mai tanta differenza di vedute tra intelletti di tale levatura?
Nel 1973, Petrović è stato costretto a lasciare il suo posto alla Belgrade Film Academy dopo esser stato accusato di avere idee anticomuniste dal governo comunista jugoslavo. Alla fine del dicembre 1989 è entrato a far parte del comitato di fondazione del partito democratico serbo, uno dei partiti d'opposizione anticomunista in Serbia.
RispondiEliminaInteressante rileggere la critica di Kezich, non solo al film ma alla persona del regista.
RispondiEliminaIn verità ciò che stava accadendo in U.R.S.S. e nei paesi satelliti in quei primi anni settanta era stato totalmente rimosso dal P.C.I. I dissidenti erano dei pazzi da internare, i poeti dei fannulloni da spedire in Siberia. Ma in Italia c'era un certo riserbo sulla cosa... In quella Russia Post-zarista possiamo specchiare il clima culturale politico di molto P.C.I dell'epoca che esponeva il realismo socialista alla Biennale di Venezia e demoliva Petrovic per aver realizzato un bel film sulla morte della libertà in un paese comunista. Ancora oggi, nonostante il revisionismo storico, non è mai stato analizzato coscientemente l'atroce olocausto degli intellettuali s'è preferito voltare pagina, ma nella pagina successiva che c'è scritto?
Inseriamo la divertente e accalorata critica di Kezich su Petrovic: "«Altro che mostra di Venezia, premio Cidalc e discussioni ad alto livello: questo film, che fa polpette di un capolavoro della moderna letteratura sovietica, merita soltanto di venir segnato sul libro nero. Da un po' di tempo certi cineasti jugoslavi giocano a combinare i "pacchetti" in stile hollywoodiano, mettendoci un po' di tutto, dagli attori stranieri al colore locale, in una chiave di anticomunismo spicciolo rassicurante per i distributori d'oltreoceano. Qui però Aleksandar Petrovic ha sbagliato i suoi calcoli: intorno al romanzo di Michail Bulgakov, scritto fra il '30 e il '40 ma pubblicato solo nel '66, è sorto rapidamente una specie di culto che non permette sacrilegi. Come ha ben scritto Lucio Lombardo Radice in "Gli accusati" (De Donato editore), l'apparizione del diavolo nella Mosca di quarant'anni fa rappresenta "l'immaginazione al potere": la fantasia dello scrittore si manifesta in un'audace struttura parodistica, ricca di notazioni sulfuree e di impennate surrealiste, e rispecchia una realtà storica ben viva e dolorosa. Tradurre in immagini "Il Maestro e Margherita" significava ripercorrere l'itinerario artistico e umano di uno dei maggiori scrittori contemporanei; ma nel film jugoslavo la scottante problematica del film è ridotta a un aneddoto pettegolo. Lo sventurato Petrovic si comporta come se il libro gli si fosse sfasciato tra le mani e lui ne avesse raccolto le pagine a caso. Il risultato è tanto deprimente che l'hanno contestato tutti, da Tognazzi alla Farmer e allo sceneggiatore originario Ugo Pirro. In una rissa a più voci, che sarebbe piaciuta a Bulgakov, il regista si è difeso male.»