Pink Floyd - Live at Pompei
domenica 25 maggio 2014
venerdì 23 maggio 2014
giovedì 22 maggio 2014
LA CURIOSITA' DEL GIOVINE
La curiosità è l’effetto fiammifero, non c’è il tempo di
posare lo sguardo su una cosa che subito si brucia e si passa ad altro. In
questo modo si cerca sempre di cambiare posizione nella segreta speranza di
allontanare anche solo l’idea di stare ad ascoltare. Viaggiamo molto, guardiamo
molto, spiamo molto ma non vediamo niente. Ecco perchè il poeta resta ancorato
a un luogo, con i piedi per terra. Nonostante si immagini erroneamente al poeta
come a un sognatore, colui che opera un’esegesi metafisica disancorata dalla
realtà, in verità ha la testa sulle spalle, sposo della Musa a cui porge
attenzioni e libagioni in cambio della verità. Il poeta si dedica a quella luce
che stamattina illumina con novità sorprendente la credenza e per la prima
volta esalta il servizio buono del thè museificato dagli avi come modesto,
struggente, simbolo degli affetti famigliari. Per De Pisis, Morandi, Biagio
Marin, Zanzotto non c’è un’ occasione per darsi da fare e soccombere a tutte le
curiosità del momento. Porre attenzione al tempo dell’attenzione significa
concedersi all’ascolto dell’esistente.
Ieri una ragazza di venticinque anni, somala, arrivata in
Italia con il solito barcone, per descrivermi il suo Paese, mi intonava una ninna nanna entrata nel suo corpo
attraverso il canto di sua madre, la ninna nanna parlava del sonno tranquillo
che aiuta il bambino a non temere gli animali, le fiere che s’aggirano ogni
notte attorno al villaggio nella ricerca di carne fresca. Negli occhi lucenti
di Amel c’era quanto basta per capire dall’interno l’essenza delle sue
paure e del suo villaggio. Non è
necessario prendere un aereo, affittare una guida con Jeap per penetrare nella
capanna, pagare gli indigeni per cosumare un giorno da leoni. E’ sufficiente
guardare gli occhi di Amel, seduti, mentre si sorseggia un pessimo thè in
bustina. Amel mi ha portato tre foglioline di menta raccolte da un giardino, la
prossima volta, dice, “raccogliero’ qualcosa dal giardino per fare un buon
thè”. Il poeta sta ancorato con i piedi per terra e, qualora non sia avvinto da
una forza di gravità leopardiana che gli fa incurvare la schiena, lancia anche
qualche occhiatina trasversale al cielo, se è un poeta femmina guarda la luna,
legge i tarocchi e i segni imperscrutabili del tempo perso nel fondo delle tazzine
del caffè.
Una ragazza di un centro che produce manager sopraffini mi
istruiva in modo perentorio, dicendomi che un video per essere efficace non
deve superare il minuto, meglio trenta secondi, volevo controbattere
chiedendole se anche un libro per essere letto non deve superara una pagina,
meglio mezza, ma poi mi sono trattenuto perchè la ragazza, tra l’altro molto
bella e procace, mi stava
comunicando indirettamente quanto è importante esserci e quanto è importante il
nostro lavoro maldestramente poetico per raddrizzare il mondo, almeno provarci.
Altri giovani non rispondono mai al telefono perchè sono molto impegnati, hanno
molte cose da fare, sono trafelati, poi scopri che in verità stanno ruotando
sul pavimento della cucina perchè un genitore ha caricato loro la molla
impiantata nel costato e, di conseguenza, finchè la carica non si esaurisce
sono condannati a girare in tondo emettendo un effetto cremagliera a trazione
che mi ricorda la trottola che avevo quando ero piccolo.
Ho amici che girano il mondo e raccontano paesi lontani,
conflitti, gioie e dolori, ma poi quando si ritrovano a dover attraversare quei
tre minuti di depressione congenita alla vita, si buttano giù e si domandano
cos’è che non và, ma poi organizzano un altro viaggio e un’altra spedizione per
alienarsi dal qui e ora. Il poeta ha sempre il tempo di viaggiare in
profondità, perchè le formiche oggi si stanno riorganizzando sulla mensola
appena levigata dal riverbero del sole e appaiono giganti passando rasente ai
cocci colorati di vetro di murano, vale la pena osservarle. Il poeta non
trascura i suoi piu’ cari amici e fedeli compagni di lavoro: il bar del cinese,
le scarpe erotiche delle mamme che portano a scuola i figli, il finto marmo sul
tavolo del tinello, quallo vero a macchie bianche e nere, ai piedi della tazza
del cesso, dove ogni volta appaiono nuovi volti e figure mitologiche, il
ragazzo matto che chiede sigarette ai passanti, il prete che ogni mattina
compie misteriosi gesti sull’altare nell’incessante tentativo della transmutare
il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo. Certo bisogna lavorare, ma per lavorare ci sono due modi: o
diventare schiavi della società o tentare di crearsi un destino, nel secondo
caso è indispensabile almeno vagamente, sapere cosa si vuole fare e a questo
quesito non consegue sempre una risposta automatica. Intanto si inizia ad
osservare il contesto e poi ci si pensa. Il Poeta si infila le scarpe da lavoro
per coltivare l’orto. Dante è stato sfortunato perchè è stato cacciato via da
Firenze, ma ha girato in lungo e in largo la penisola, a piedi pero’ e quindi
ha declinato l’esilio con l’esplorazione intima del mondo, è uno dei pochi
poeti, suo malgrado, che hanno fatto tracking. Heiddeger non parlava bene della
curiosità e infatti questo schizzo demenziale giovanilistico, ma in uso anche
tra i piu’ anziani, del mordi e fuggi, è una fuga nel vuoto; una mutazione
antropologica studiata a tavolino dagli ingegneri della comunicazione, cioè dai
tirapiedi di quelle forze che ostracizzano e a volte, purtroppo uccidono i
poeti. I poeti sono dei rivoluzionari perchè si radicano e, una volta radicati
diventano pericolosi, ecco perchè i regimi inventano il confino, l’esilio, in
sostanza li spostano e quando non riescono a risolvere spostando la gente indesiderata,
la rinchiudono o la uccidono. Per distruggere un poeta è necessario sradicarlo
dal luogo della sua ispirazione, allontanarlo da tutti i suoi “amici” di cui
abbiamo fatto la polaroid prima, fargli terra bruciata intorno. Ricordiamone
solo due Mandel’stam e Tarkowskij. E mentre si celebra il conflitto tra i Poeti
e il Potere come tra Dio e il Diavolo, i giovani rampanti ci pensano da sè a
sradicarsi ad annullare ogni loro forma di acquisizione del senso intimo della
poesia, non ce la fanno, hanno le formiche sotto i piedi, devono viaggiare,
fare esperienza, conoscere il mondo, mescolarsi, peccato che gli esiti siano
profondamente deludenti perchè nell’assaggiare tutto fugacemente non assorbi
sostanzialmente nulla, il giovane medio è il bignami delle esperienze e il
coito interrotto è il suo rapporto d’amore rassicurante e preferito. Cresciuto
a Tv, caramelle e facebook è convinto che la vita sia una superficie piatta e
che per vedere il mondo, da veri esploratori, davvero bisogna andarci. Il mondo è ovunque, tutto, se lo sai
ascoltare, arriva come il profumo dei fiori, se sai ascoltare riesci persino a
sentire il rumore del pianeta che
ruota su se stesso, poi dipende se hai o meno le cuffiette anestetizzanti
piantate nei timpani o usi il gps per orientarti nel deserto per scoprire che
hai perso il segnale... Amel è arrivata con il barcone, ma nei suoi occhi
luminosi ho visto con angoscia e senso di colpa la mia faccia pallida di
colonizzatore e di figlio di puttana, mi son sentito male, fisicamente sofferente,
non riuscivo a guardarla negli occhi per la vergogna di appartenmere alla parte
sbagliata del pianeta. Le ho in qualche modo chiesto scusa da parte dei
francesi,degli inglesi, dei portoghesi e persino degli americani. Ma non credo
che ci perdonerà e al momento giusto, che non è lontano, agirà.
LA CURIOSITA’ DEL GIOVINE
La curiosità è l’effetto fiammifero, non c’è il tempo di
posare lo sguardo su una cosa che subito si brucia e si passa ad altro. In
questo modo si cerca sempre di cambiare posizione nella segreta speranza di
allontanare anche solo l’idea di stare ad ascoltare. Viaggiamo molto, guardiamo
molto, spiamo molto ma non vediamo niente. Ecco perchè il poeta resta ancorato
a un luogo, con i piedi per terra. Nonostante si immagini erroneamente al poeta
come a un sognatore, colui che opera un’esegesi metafisica disancorata dalla
realtà, in verità ha la testa sulle spalle, sposo della Musa a cui porge
attenzioni e libagioni in cambio della verità. Il poeta si dedica a quella luce
che stamattina illumina con novità sorprendente la credenza e per la prima
volta esalta il servizio buono del thè museificato dagli avi come modesto,
struggente, simbolo degli affetti famigliari. Per De Pisis, Morandi, Biagio
Marin, Zanzotto non c’è un’ occasione per darsi da fare e soccombere a tutte le
curiosità del momento. Porre attenzione al tempo dell’attenzione significa
concedersi all’ascolto dell’esistente.
Ieri una ragazza di venticinque anni, somala, arrivata in
Italia con il solito barcone, mi intonava una ninna nanna entrata nel suo corpo
attraverso il canto di sua madre, la ninna nanna parlava del sonno tranquillo
che aiuta il bambino a non temere gli animali, le fiere che s’aggirano ogni
notte attorno al villaggio nella ricerca di carne fresca. Negli occhi lucenti
di Amel c’era quanto basta per capire dall’interno l’essenza delle sue
paure e del suo villaggio. Non è
necessario prendere un aereo, affittare una guida con Jeap per penetrare nella
capanna, pagare gli indigeni per cosumare un giorno da leoni. E’ sufficiente
guardare gli occhi di Amel, seduti, mentre si sorseggia un pessimo thè in
bustina. Amel mi ha portato tre foglioline di menta raccolte da un giardino, la
prossima volta, dice, “raccogliero’ qualcosa dal giardino per fare un buon
thè”. Il poeta sta ancorato con i piedi per terra e, qualora non sia avvinto da
una forza di gravità leopardiana che gli fa incurvare la schiena, lancia anche
qualche occhiatina trasversale al cielo, se è un poeta femmina guarda la luna,
legge i tarocchi e i segni imperscrutabili del tempo perso nel fondo delle tazzine
del caffè.
Una ragazza di un centro che produce manager sopraffini mi
istruiva in modo perentorio, dicendomi che un video per essere efficace non
deve superare il minuto, meglio trenta secondi, volevo controbattere
chiedendole se anche un libro per essere letto non deve superara una pagina,
meglio mezza, ma poi mi sono trattenuto perchè la ragazza, tra l’altro molto
bella e procace, mi stava
comunicando indirettamente quanto è importante esserci e quanto è importante il
nostro lavoro maldestramente poetico per raddrizzare il mondo, almeno provarci.
Altri giovani non rispondono mai al telefono perchè sono molto impegnati, hanno
molte cose da fare, sono trafelati, poi scopri che in verità stanno ruotando
sul pavimento della cucina perchè un genitore ha caricato loro la molla
impiantata nel costato e, di conseguenza, finchè la carica non si esaurisce
sono condannati a girare in tondo emettendo un effetto cremagliera a trazione
che mi ricorda la trottola che avevo quando ero piccolo.
Ho amici che girano il mondo e raccontano paesi lontani,
conflitti, gioie e dolori, ma poi quando si ritrovano a dover attraversare quei
tre minuti di depressione congenita alla vita, si buttano giù e si domandano
cos’è che non và, ma poi organizzano un altro viaggio e un’altra spedizione per
alienarsi dal qui e ora. Il poeta ha sempre il tempo di viaggiare in
profondità, perchè le formiche oggi si stanno riorganizzando sulla mensola
appena levigata dal riverbero del sole e appaiono giganti passando rasente ai
cocci colorati di vetro di murano, vale la pena osservarle. Il poeta non
trascura i suoi piu’ cari amici e fedeli compagni di lavoro: il bar del cinese,
le scarpe erotiche delle mamme che portano a scuola i figli, il finto marmo sul
tavolo del tinello, quallo vero a macchie bianche e nere, ai piedi della tazza
del cesso, dove ogni volta appaiono nuovi volti e figure mitologiche, il
ragazzo matto che chiede sigarette ai passanti, il prete che ogni mattina
compie misteriosi gesti sull’altare nell’incessante tentativo della transmutare
il pane e il vino nel corpo e sangue di Cristo. Certo bisogna lavorare, ma per lavorare ci sono due modi: o
diventare schiavi della società o tentare di crearsi un destino, nel secondo
caso è indispensabile almeno vagamente, sapere cosa si vuole fare e a questo
quesito non consegue sempre una risposta automatica. Intanto si inizia ad
osservare il contesto e poi ci si pensa. Il Poeta si infila le scarpe da lavoro
per coltivare l’orto. Dante è stato sfortunato perchè è stato cacciato via da
Firenze, ma ha girato in lungo e in largo la penisola, a piedi pero’ e quindi
ha declinato l’esilio con l’esplorazione intima del mondo, è uno dei pochi
poeti, suo malgrado, che hanno fatto tracking. Heiddeger non parlava bene della
curiosità e infatti questo schizzo demenziale giovanilistico, ma in uso anche
tra i piu’ anziani, del mordi e fuggi, è una fuga nel vuoto; una mutazione
antropologica studiata a tavolino dagli ingegneri della comunicazione, cioè dai
tirapiedi di quelle forze che ostracizzano e a volte, purtroppo uccidono i
poeti. I poeti sono dei rivoluzionari perchè si radicano e, una volta radicati
diventano pericolosi, ecco perchè i regimi inventano il confino, l’esilio, in
sostanza li spostano e quando non riescono a risolvere spostando la gente indesiderata,
la rinchiudono o la uccidono. Per distruggere un poeta è necessario sradicarlo
dal luogo della sua ispirazione, allontanarlo da tutti i suoi “amici” di cui
abbiamo fatto la polaroid prima, fargli terra bruciata intorno. Ricordiamone
solo due Mandel’stam e Tarkowskij. E mentre si celebra il conflitto tra i Poeti
e il Potere come tra Dio e il Diavolo, i giovani rampanti ci pensano da sè a
sradicarsi ad annullare ogni loro forma di acquisizione del senso intimo della
poesia, non ce la fanno, hanno le formiche sotto i piedi, devono viaggiare,
fare esperienza, conoscere il mondo, mescolarsi, peccato che gli esiti siano
profondamente deludenti perchè nell’assaggiare tutto fugacemente non assorbi
sostanzialmente nulla, il giovane medio è il bignami delle esperienze e il
coito interrotto è il suo rapporto d’amore rassicurante e preferito. Cresciuto
a Tv, caramelle e facebook è convinto che la vita sia una superficie piatta e
che per vedere il mondo, da veri esploratori, davvero bisogna andarci. Il mondo è ovunque, tutto, se lo sai
ascoltare, arriva come il profumo dei fiori, se sai ascoltare riesci persino a
sentire il rumore del pianeta che
ruota su se stesso, poi dipende se hai o meno le cuffiette anestetizzanti
piantate nei timpani o usi il gps per orientarti nel deserto per scoprire che
hai perso il segnale... Amel è arrivata con il barcone, ma nei suoi occhi
luminosi ho visto con angoscia e senso di colpa la mia faccia pallida di
colonizzatore e di figlio di puttana, mi son sentito male, fisicamente sofferente,
non riuscivo a guardarla negli occhi per la vergogna di appartenmere alla parte
sbagliata del pianeta. Le ho in qualche modo chiesto scusa da parte dei
francesi,degli inglesi, dei portoghesi e persino degli americani. Ma non credo
che ci perdonerà e al momento giusto, che non è lontano, agirà.
domenica 18 maggio 2014
VAM
TERZOCINEMA E ICS
Centro Per le Arti Cinematografiche Multisensoriali
LABORATORIO VAM - VIDEO ALFABETIZZAZIONE MULTI SENSORIALE
DATE: venerdi' 6 -13 -20 -27 GIUGNO 2014 dalle ore 10 alle ore 18 (due moduli per giornata)
SEDE PRESSO ICS - VIA GASPARE GOZZI N 4 - TRIESTE
Per info scrivere a secretary@kineofilm.it
venerdì 16 maggio 2014
TERZOCINEMA E ICS
Centro Per le Arti Cinematografiche Multisensoriali
LABORATORIO VAM - VIDEO ALFABETIZZAZIONE MULTI SENSORIALE
DATE: venerdi' 6 -13 -20 -27 GIUGNO 2014 dalle ore 10 alle ore 18 (due moduli per giornata)
SEDE PRESSO ICS - VIA GASPARE GOZZI N 4 - TRIESTE
Per info scrivere a secretary@kineofilm.it
tel 3398646377
Centro Per le Arti Cinematografiche Multisensoriali
LABORATORIO VAM - VIDEO ALFABETIZZAZIONE MULTI SENSORIALE
DATE: venerdi' 6 -13 -20 -27 GIUGNO 2014 dalle ore 10 alle ore 18 (due moduli per giornata)
SEDE PRESSO ICS - VIA GASPARE GOZZI N 4 - TRIESTE
Per info scrivere a secretary@kineofilm.it
tel 3398646377
martedì 13 maggio 2014
lunedì 12 maggio 2014
domenica 11 maggio 2014
Piero Ciampi è un poeta, è stato un poeta. Lo ritengo l'espressione più rispondente alla mia idea di "autore" cioè di colui che non fotocopia la realtà, ma ne dà un'interpretazione intima, lirica e universale. Capisco anche come Ciampi sia stato emarginato e si sia anche lui stesso sottratto da un contesto che allora, come ora, è putrefatto odora di marcio e di morte. Parlo dell'ambiente dello spettacolo, tv compresa, in cui la poesia non ha teatro, sede, ufficio e nemmeno possibilità di sostare nei corridoi delle sale d'aspetto. Pero', pero', pero'... io credo che a passi lenti ma inesorabili sarà un'arma, la poesia, che scioglierà come acido la merda e la morte che spegne, soffoca e occlude menti, cuori e culi. Noi, massa informe, carne da macello fatta di schiavi consumatori di vomito televisivo, preferiamo stimolazioni genitali primarie, ed è comprensibile quando non si è iniziati a un orgasmo più intenso e appagante che è quello dell'amore per l'Arte e con l'Arte. Un amore che coinvolge non solo i genitali ma il corpo, il cuore, la mente, lo struggente mistero della Vita. Grazie Piero e perdona i beoti che ora, come allora, non sono in grado di capire il tuo dono, non ci arrivano, non hanno cultura, sono cresciuti a tv e caramelle , capisci? Forse i loro figli ti capiranno, ti ascolteranno, ti cercheranno e ti ameranno, in verità lo stanno già facendo.... (Arthur Frame)
sabato 10 maggio 2014
venerdì 9 maggio 2014
Intervista ad Andrej Tarkovskij
Chi sei?
Io non so chi sono e, a mio parere, chi siamo è quello che ognuno di noi sa con minore esattezza. E’ molto più facile esprimere il giudizio sugli altri. Di noi stessi sappiamo molto poco e il problema è che siamo incapaci di rivolgerci con attenzione ai problemi interiori dell’uomo.
Sei felice di essere venuto al mondo?
Felice non è la parola giusta. A mio parere questo mondo non è un luogo dove vivere felici e non è stato creato per la felicità dell’uomo, anche se sono in molti a pensare che è questa la ragione della propria esistenza. Penso che siamo su questa terra per lottare affinché dentro di noi lottino il bene e il male, perché il bene vinca e noi ci si arricchisca spiritualmente.
Andrej parlami della tua infanzia
La mia infanzia la ricordo molto bene perché è stato il periodo più importante della mia vita. Quello che ha fissato le impressioni e quello che ha poi preso corpo successivamente nel periodo adulto ed è quel momento nella vita dell’uomo che ne determina tutto il suo futuro, specialmente se è un futuro legato all’attività creativa, all’arte, ai problemi interiori, psicologici. Già Anna Achmatova, la grande poetessa russa, parlava dell’importanza dell’infanzia, quell’infanzia che la sostenne per tutta la vita nella sua opera. In una parola, l’uomo con l’infanzia nutre tutta l’attività creativa del periodo adulto. I miei genitori si separarono nel 1935 o ’36. Vivevo con mia madre, la nonna e mia sorella; in effetti sono cresciuto in una famiglia senza uomini e sono stato allevato da mia madre. Forse questo ha avuto una grande influenza sulla formazione del mio carattere.
La casa della mia infanzia per me è una casetta in un bosco a novanta/cento chilometri da Mosca, dove abbiamo vissuto cinque anni prima della guerra. Ci fu un episodio: un giorno mio padre venne da noi di notte e voleva che mia madre mi lasciasse andare a vivere con lui. Mi ricordo che mi svegliai, sentii quella conversazione, mia madre piangeva e anch’io piangevo ma piano perché non mi sentisse. Avevo già deciso che se anche fosse stata mia madre a chiedermelo, io non sarei mai andato a vivere con lui anche se per tutta la vita ho sentito la mancanza di un padre.
La guerra è stata per noi molto dura. Mio padre era andato al fronte e ci mancava molto. Si continuava ad aspettare lettere che arrivavano solo raramente. Comunque tornò senza una gamba, dopo un’operazione molto difficile in un ospedale militare al fronte. Tornò col grado di capitano e con uno dei riconoscimenti più alti dell’esercito: l’ordine della stella rossa. Due soli pensieri occupavano la mia mente infantile: che la guerra finisse e che mio padre tornasse da noi. Tutta la mia infanzia è legata a mia madre e si capisce, vivevo con lei, mi educava e si prendeva cura di noi. Ebbe una vita molto difficile: aveva terminato quello che adesso si chiama Istituto di letteratura e lì conobbe mio padre, ma quando ci lasciò ella non poté più occuparsi di letteratura e con due figli sulle spalle non riuscì a dare gli esami per avere in mano qualche diploma e andò a lavorare in una tipografia di Mosca. E tutto quello che ho avuto nella vita e le cose più belle che ho, le devo a mia madre, ai sacrifici per farmi diventare quello che sono adesso. Ci fu un momento veramente difficile nella mia vita: ero finito in una vecchia compagnia ed ero molto giovane, avevo circa vent’anni e mia madre mi salvò in un modo molto particolare mandandomi a lavorare con un gruppo di geologi in Siberia dove rimasi un anno intero. Lavorai laggiù come raccoglitore, un semplice operaio. A piedi girai le distese di neve nella taiga. La Siberia, ancora oggi, è rimasta uno dei miei ricordi più belli.
Adesso pensi di aver trovato quello che cercavi da bambino?
Non lo so, è una domanda difficile. E’ evidente che mia madre voleva che io mi dedicassi all’arte, che la mia vita fosse legata all’arte. L’esempio di mio padre era stato per lei importantissimo; lo amò molto, fino alla fine dei suoi giorni. Voleva che gli assomigliassi in qualche modo e così mi ritrovai nell’arte. Non divenni pianista, né direttore d’orchestra, come avrei voluto, né pittore, scultore, tutte cose che pure avevo studiato. A volte mi domandano se ho dei rimpianti. Certo mi dispiace non occuparmi di musica, non essere un direttore d’orchestra, anche perché sarebbe una professione meno dura per me e non si può neanche dire che io in seguito abbia trovato quello che avevo cercato nell’infanzia. Allora non volevo diventare né pittore, né musicista. Il mio carattere somigliava più a quello di una pianta: non pensavo molto, piuttosto sentivo, percepivo.
Quando rivado all’infanzia, mi torna in mente un tempo in cui davanti a me c’era tutta la vita e io ero immortale e tutto era possibile, realizzabile. Chissà se l’infanzia è andata o è rimasta con me. A volte se penso che mi ha lasciato, mi sento perduto. Ritengo però che siano le sensazioni dell’infanzia ad avermi abbandonato ma che lei, l’infanzia stessa, sia ancora accanto a me, come base prima che sostiene la mia attività creativa e anche come spinta alla creazione. Penso che se si fosse perduta nell’oblio, non potrei fare niente nel cinema.
Pensi che la scelta del cinema sia stata per te la strada giusta?
Le mie prime impressioni sul cinema sono state strane; non capivo, non riuscivo a capire che cosa fosse il cinema. Non lo sentivo, non lo percepivo ma sapevo che era una professione dai notevoli aspetti tecnici. Che ci si potesse esprimere con il cinema come con la poesia, la musica o la letteratura, non l’avevo proprio capito. Anche dopo aver girato l’Infanzia di Ivan, non avevo ancora afferrato quale fosse il ruolo del regista. E’ stata una ricerca, un cercare a tentoni dei momenti di contatto con la poesia. E solo dopo aver girato questo film, mi accorsi che era possibile attraverso il cinema venire in contatto con un’essenza spirituale. L’esperienza dell’Infanzia di Ivan è stata per me importantissima perché prima di allora non avevo la minima idea di che cosa fosse in fondo il cinema. Neanche adesso sono così convinto di sapere che cos’è il cinema. A parer mio è un mistero, immenso, come del resto ogni altra forma d’arte.
A quel tempo l’Infanzia di Ivan provocò grosse polemiche fra i critici. Dopo tanti anni cosa ne pensi?
La polemica sull’Infanzia di Ivan fu condotta prevalentemente da Sartre e da Moravia. Quest’ultimo mi criticò e Sartre mi difese. Devo dire comunque che lessi l’articolo di Moravia con estremo interesse. In effetti distruggeva il mio film pezzo per pezzo, ma lo lessi con piacere perché la sua critica era ad un livello così alto, il suo pensiero così preciso e ben formulato che fu quasi un piacere essere criticato da lui. Per quanto riguarda Sartre mi difendeva da posizioni troppo filosofiche e speculative perché la sua difesa mi convincesse.
Per molti il cinema è soltanto un lavoro. Per te Andrej che cos’è il cinema?
Non sono mai riuscito a separare la mia vita dai film che facevo. I film sono sempre stati per me una parte della mia esistenza e per poter girare un film ho sempre dovuto operare delle scelte fondamentali. Molti riescono a separare la propria vita dai film che realizzano. Conosco molti che vivono in un modo e nei film dicono tutt’altra cosa, esprimono tutt’altre idee. Riescono a scindere la propria coscienza dai film che fanno. Io non ci sono mai riuscito: per me il cinema non è una professione, è la mia vita ed ogni film lo considero un azione della mia vita.
Che ne pensi del cinema d’autore?
Per me coloro che rimarranno nella storia del cinema come autori, sono tutti poeti. A mio avviso esiste una legge: il cinema d’autore è un cinema di poeti e tutti i grandi registi contemporanei sono dei poeti.
Ma che cos’è un poeta nel cinema? E’ un regista che crea il proprio mondo e non tenta di riprodurre la realtà che lo circonda. Ed’è questo loro cinema che noi definiamo d’autore: cinema poetico.
Io non so chi sono e, a mio parere, chi siamo è quello che ognuno di noi sa con minore esattezza. E’ molto più facile esprimere il giudizio sugli altri. Di noi stessi sappiamo molto poco e il problema è che siamo incapaci di rivolgerci con attenzione ai problemi interiori dell’uomo.
Sei felice di essere venuto al mondo?
Felice non è la parola giusta. A mio parere questo mondo non è un luogo dove vivere felici e non è stato creato per la felicità dell’uomo, anche se sono in molti a pensare che è questa la ragione della propria esistenza. Penso che siamo su questa terra per lottare affinché dentro di noi lottino il bene e il male, perché il bene vinca e noi ci si arricchisca spiritualmente.
Andrej parlami della tua infanzia
La mia infanzia la ricordo molto bene perché è stato il periodo più importante della mia vita. Quello che ha fissato le impressioni e quello che ha poi preso corpo successivamente nel periodo adulto ed è quel momento nella vita dell’uomo che ne determina tutto il suo futuro, specialmente se è un futuro legato all’attività creativa, all’arte, ai problemi interiori, psicologici. Già Anna Achmatova, la grande poetessa russa, parlava dell’importanza dell’infanzia, quell’infanzia che la sostenne per tutta la vita nella sua opera. In una parola, l’uomo con l’infanzia nutre tutta l’attività creativa del periodo adulto. I miei genitori si separarono nel 1935 o ’36. Vivevo con mia madre, la nonna e mia sorella; in effetti sono cresciuto in una famiglia senza uomini e sono stato allevato da mia madre. Forse questo ha avuto una grande influenza sulla formazione del mio carattere.
La casa della mia infanzia per me è una casetta in un bosco a novanta/cento chilometri da Mosca, dove abbiamo vissuto cinque anni prima della guerra. Ci fu un episodio: un giorno mio padre venne da noi di notte e voleva che mia madre mi lasciasse andare a vivere con lui. Mi ricordo che mi svegliai, sentii quella conversazione, mia madre piangeva e anch’io piangevo ma piano perché non mi sentisse. Avevo già deciso che se anche fosse stata mia madre a chiedermelo, io non sarei mai andato a vivere con lui anche se per tutta la vita ho sentito la mancanza di un padre.
La guerra è stata per noi molto dura. Mio padre era andato al fronte e ci mancava molto. Si continuava ad aspettare lettere che arrivavano solo raramente. Comunque tornò senza una gamba, dopo un’operazione molto difficile in un ospedale militare al fronte. Tornò col grado di capitano e con uno dei riconoscimenti più alti dell’esercito: l’ordine della stella rossa. Due soli pensieri occupavano la mia mente infantile: che la guerra finisse e che mio padre tornasse da noi. Tutta la mia infanzia è legata a mia madre e si capisce, vivevo con lei, mi educava e si prendeva cura di noi. Ebbe una vita molto difficile: aveva terminato quello che adesso si chiama Istituto di letteratura e lì conobbe mio padre, ma quando ci lasciò ella non poté più occuparsi di letteratura e con due figli sulle spalle non riuscì a dare gli esami per avere in mano qualche diploma e andò a lavorare in una tipografia di Mosca. E tutto quello che ho avuto nella vita e le cose più belle che ho, le devo a mia madre, ai sacrifici per farmi diventare quello che sono adesso. Ci fu un momento veramente difficile nella mia vita: ero finito in una vecchia compagnia ed ero molto giovane, avevo circa vent’anni e mia madre mi salvò in un modo molto particolare mandandomi a lavorare con un gruppo di geologi in Siberia dove rimasi un anno intero. Lavorai laggiù come raccoglitore, un semplice operaio. A piedi girai le distese di neve nella taiga. La Siberia, ancora oggi, è rimasta uno dei miei ricordi più belli.
Adesso pensi di aver trovato quello che cercavi da bambino?
Non lo so, è una domanda difficile. E’ evidente che mia madre voleva che io mi dedicassi all’arte, che la mia vita fosse legata all’arte. L’esempio di mio padre era stato per lei importantissimo; lo amò molto, fino alla fine dei suoi giorni. Voleva che gli assomigliassi in qualche modo e così mi ritrovai nell’arte. Non divenni pianista, né direttore d’orchestra, come avrei voluto, né pittore, scultore, tutte cose che pure avevo studiato. A volte mi domandano se ho dei rimpianti. Certo mi dispiace non occuparmi di musica, non essere un direttore d’orchestra, anche perché sarebbe una professione meno dura per me e non si può neanche dire che io in seguito abbia trovato quello che avevo cercato nell’infanzia. Allora non volevo diventare né pittore, né musicista. Il mio carattere somigliava più a quello di una pianta: non pensavo molto, piuttosto sentivo, percepivo.
Quando rivado all’infanzia, mi torna in mente un tempo in cui davanti a me c’era tutta la vita e io ero immortale e tutto era possibile, realizzabile. Chissà se l’infanzia è andata o è rimasta con me. A volte se penso che mi ha lasciato, mi sento perduto. Ritengo però che siano le sensazioni dell’infanzia ad avermi abbandonato ma che lei, l’infanzia stessa, sia ancora accanto a me, come base prima che sostiene la mia attività creativa e anche come spinta alla creazione. Penso che se si fosse perduta nell’oblio, non potrei fare niente nel cinema.
Pensi che la scelta del cinema sia stata per te la strada giusta?
Le mie prime impressioni sul cinema sono state strane; non capivo, non riuscivo a capire che cosa fosse il cinema. Non lo sentivo, non lo percepivo ma sapevo che era una professione dai notevoli aspetti tecnici. Che ci si potesse esprimere con il cinema come con la poesia, la musica o la letteratura, non l’avevo proprio capito. Anche dopo aver girato l’Infanzia di Ivan, non avevo ancora afferrato quale fosse il ruolo del regista. E’ stata una ricerca, un cercare a tentoni dei momenti di contatto con la poesia. E solo dopo aver girato questo film, mi accorsi che era possibile attraverso il cinema venire in contatto con un’essenza spirituale. L’esperienza dell’Infanzia di Ivan è stata per me importantissima perché prima di allora non avevo la minima idea di che cosa fosse in fondo il cinema. Neanche adesso sono così convinto di sapere che cos’è il cinema. A parer mio è un mistero, immenso, come del resto ogni altra forma d’arte.
A quel tempo l’Infanzia di Ivan provocò grosse polemiche fra i critici. Dopo tanti anni cosa ne pensi?
La polemica sull’Infanzia di Ivan fu condotta prevalentemente da Sartre e da Moravia. Quest’ultimo mi criticò e Sartre mi difese. Devo dire comunque che lessi l’articolo di Moravia con estremo interesse. In effetti distruggeva il mio film pezzo per pezzo, ma lo lessi con piacere perché la sua critica era ad un livello così alto, il suo pensiero così preciso e ben formulato che fu quasi un piacere essere criticato da lui. Per quanto riguarda Sartre mi difendeva da posizioni troppo filosofiche e speculative perché la sua difesa mi convincesse.
Per molti il cinema è soltanto un lavoro. Per te Andrej che cos’è il cinema?
Non sono mai riuscito a separare la mia vita dai film che facevo. I film sono sempre stati per me una parte della mia esistenza e per poter girare un film ho sempre dovuto operare delle scelte fondamentali. Molti riescono a separare la propria vita dai film che realizzano. Conosco molti che vivono in un modo e nei film dicono tutt’altra cosa, esprimono tutt’altre idee. Riescono a scindere la propria coscienza dai film che fanno. Io non ci sono mai riuscito: per me il cinema non è una professione, è la mia vita ed ogni film lo considero un azione della mia vita.
Che ne pensi del cinema d’autore?
Per me coloro che rimarranno nella storia del cinema come autori, sono tutti poeti. A mio avviso esiste una legge: il cinema d’autore è un cinema di poeti e tutti i grandi registi contemporanei sono dei poeti.
Ma che cos’è un poeta nel cinema? E’ un regista che crea il proprio mondo e non tenta di riprodurre la realtà che lo circonda. Ed’è questo loro cinema che noi definiamo d’autore: cinema poetico.
Andrej tuo padre era già allora uno dei più grandi poeti russi. Parlami di lui.
Mio padre è senz’altro il
più grande poeta russo, con una possente intonazione lirica e carica
spirituale nella sua poesia. E’ un poeta in forma pura, un poeta per il
quale la cosa principale è il concetto interiore, spirituale della vita,
il senso del debito profondo che egli avverte nei confronti della
propria terra, della propria patria e del proprio ruolo.
Che cos’è l’arte?
Prima di formulare un concetto, in questo caso sull’arte, dobbiamo rispondere a un’altra domanda molto più vasta, ovvero qual è il senso dell’esistenza dell’uomo su questa terra. Forse il fine nostro su questa terra è quello di innalzarci spiritualmente. Se la nostra vita tende a questo arricchimento spirituale, l’arte è uno dei mezzi per arrivarci. Si, almeno così io ritengo, in armonia con la mia definizione sul senso della vita. Non so, c’è chi afferma che l’arte serva all’uomo per conoscere il mondo, che l’arte è conoscenza come qualunque altra attività intellettuale dell’umanità. Io, tanto per cominciare, non credo troppo a questa possibilità di conoscenza. Essa ci distoglie sempre più da quello che dovrebbe essere lo scopo principale della nostra vita, e quanto più ne sappiamo, tanto meno ne sappiamo perché andando in profondità, perdiamo in ampiezza. L’arte serve all’uomo per elevarsi spiritualmente, innalzarsi al di sopra di se stesso, per usare ciò che noi definiamo “libero arbitrio”.La pressione cui è sottoposto Rublev non è un’eccezione: ogni artista è sempre sottopressione e non lavora mai in condizioni ideali. Inoltre, se tali condizioni esistessero, forse non esisterebbe il suo lavoro perché l’artista non vive in un vuoto senz’aria. Una pressione deve esserci anche se non saprei dire di che tipo. E l’artista esiste proprio perché il mondo non è perfetto e l’arte non sarebbe necessaria a nessuno se il mondo fosse il regno dell’armonia e della bellezza. L’uomo non ricercherebbe in occupazioni collaterali l’armonia perché vivrebbe già in essa. L’arte nasce da un mondo mal congeniato, ricerche di accordi e di significati che si esprimono nei rapporti armonici tra gli uomini, tra l’arte e la vita, tra il tempo e la storia. Un altro tema per me molto importante è quello dell’esperienza dell’uomo. Con questo film volevo dire che non è possibile trasmettere la propria esperienza personale, imparare da qualcuno a vivere. Bisogna solo vivere e trarne qualche conclusione che non puoi lasciare agli altri in eredità. Spesso si sente dire: bisogna usare l’esperienza dei nostri padri. Ma sarebbe troppo semplice perché ognuno di noi deve farsi per conto proprio una sua esperienza e quando ci arriviamo è il momento di morire, purtroppo, e non abbiamo il tempo di usarla. Intanto vengo su le nuove generazioni che si rifiutano di ascoltare i vecchi e fanno bene, cercano una loro esperienza e quando la trovano anche la loro vita è alla fine. E’ la legge della vita, il suo significato.
Il cinema è la forma più infelice d’arte, in quanto dipende in misura notevolissima al denaro e non soltanto perché un film costa molto, ma anche perché se ne fa commercio come con le gomme da masticare o le sigarette. Il principio è che un film è buono se si vende bene e se noi pensiamo che il cinema è arte, ci sembra allora assurdo impostare così il problema in quanto sarebbe assurdo dire che l’arte è buona soltanto se la si vende bene. Se vogliamo attrarre le masse, non possiamo aspettarci opere di grande ingegno poetico.
Che cosa ne pensi della scienza, nel bene e nel male?
Si può dire che dopo un lungo processo storico, siamo arrivati nella nostra civiltà a un punto di terribile conflitto all’interno dell’uomo perché c’è un enorme dislivello tra il progresso scientifico e quello spirituale. E noi continuiamo ancora ad aumentare questo dislivello, motivo principale della nostra drammatica situazione. Siamo una civiltà al limite della distruzione atomica, proprio a causa di tale divario tra queste sfere dell’uomo.
E tu, come ti poni nei confronti del mondo?
Tendo ad avere un approccio con il mondo più a livello emotivo e contemplativo. Non cerco di ragionarci su, ma di percepirlo quanto può fare un animale o un bambino e non un adulto che è in grado di ragionare sulla vita traendone le conclusioni.
Andrej cosa vuoi dire ai giovani?
Vorrei semplicemente che imparassero ad amare di più la solitudine, a stare a tu per tu con se stessi. Mi sembra che il guaio della gioventù sia quello di tendere ad aggregarsi per portare avanti un azione rumorosa, addirittura aggressiva per non sentirsi soli, il che è piuttosto triste. L’individuo deve imparare fin dall’infanzia a vivere da solo e questo non significa essere soli. Significa non annoiarsi con se stessi, che è un segno di pericolo, quasi di malattia.
Ami i bambini?
I bambini sono innocenti così come gli animali, che lo sono proprio per la loro natura. Invece l’uomo, che ha la capacità di scegliere tra il bene e il male, impara poco a poco a mentire perché così ritiene di poter vivere con maggiore felicità e di ottenere un maggior numero di beni. Prima magari con la sola diplomazia, per passare poi alle menzogne vere e proprie.
Cosa rappresenta per te l’acqua?
L’acqua, i ruscelli, i fiumiciattoli, mi piacciono molto, è un’acqua che mi racconta molte cose. Il mare, invece, lo sento estraneo al mio mondo interiore perché è uno spazio troppo vasto per me. Non mi fa paura, è semplicemente una superficie troppo monotona. A me, per il mio carattere, sono più care le cose piccole, il microcosmo, piuttosto che il macrocosmo. Le enormi distese mi dicono meno di quelle limitate. Forse per questo amo molto l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti della natura. Cercano di concentrarsi su uno spazio ristretto e di vedervi il riflesso dell’infinito.
Che cos’è l’arte?
Prima di formulare un concetto, in questo caso sull’arte, dobbiamo rispondere a un’altra domanda molto più vasta, ovvero qual è il senso dell’esistenza dell’uomo su questa terra. Forse il fine nostro su questa terra è quello di innalzarci spiritualmente. Se la nostra vita tende a questo arricchimento spirituale, l’arte è uno dei mezzi per arrivarci. Si, almeno così io ritengo, in armonia con la mia definizione sul senso della vita. Non so, c’è chi afferma che l’arte serva all’uomo per conoscere il mondo, che l’arte è conoscenza come qualunque altra attività intellettuale dell’umanità. Io, tanto per cominciare, non credo troppo a questa possibilità di conoscenza. Essa ci distoglie sempre più da quello che dovrebbe essere lo scopo principale della nostra vita, e quanto più ne sappiamo, tanto meno ne sappiamo perché andando in profondità, perdiamo in ampiezza. L’arte serve all’uomo per elevarsi spiritualmente, innalzarsi al di sopra di se stesso, per usare ciò che noi definiamo “libero arbitrio”.La pressione cui è sottoposto Rublev non è un’eccezione: ogni artista è sempre sottopressione e non lavora mai in condizioni ideali. Inoltre, se tali condizioni esistessero, forse non esisterebbe il suo lavoro perché l’artista non vive in un vuoto senz’aria. Una pressione deve esserci anche se non saprei dire di che tipo. E l’artista esiste proprio perché il mondo non è perfetto e l’arte non sarebbe necessaria a nessuno se il mondo fosse il regno dell’armonia e della bellezza. L’uomo non ricercherebbe in occupazioni collaterali l’armonia perché vivrebbe già in essa. L’arte nasce da un mondo mal congeniato, ricerche di accordi e di significati che si esprimono nei rapporti armonici tra gli uomini, tra l’arte e la vita, tra il tempo e la storia. Un altro tema per me molto importante è quello dell’esperienza dell’uomo. Con questo film volevo dire che non è possibile trasmettere la propria esperienza personale, imparare da qualcuno a vivere. Bisogna solo vivere e trarne qualche conclusione che non puoi lasciare agli altri in eredità. Spesso si sente dire: bisogna usare l’esperienza dei nostri padri. Ma sarebbe troppo semplice perché ognuno di noi deve farsi per conto proprio una sua esperienza e quando ci arriviamo è il momento di morire, purtroppo, e non abbiamo il tempo di usarla. Intanto vengo su le nuove generazioni che si rifiutano di ascoltare i vecchi e fanno bene, cercano una loro esperienza e quando la trovano anche la loro vita è alla fine. E’ la legge della vita, il suo significato.
Il cinema è la forma più infelice d’arte, in quanto dipende in misura notevolissima al denaro e non soltanto perché un film costa molto, ma anche perché se ne fa commercio come con le gomme da masticare o le sigarette. Il principio è che un film è buono se si vende bene e se noi pensiamo che il cinema è arte, ci sembra allora assurdo impostare così il problema in quanto sarebbe assurdo dire che l’arte è buona soltanto se la si vende bene. Se vogliamo attrarre le masse, non possiamo aspettarci opere di grande ingegno poetico.
Che cosa ne pensi della scienza, nel bene e nel male?
Si può dire che dopo un lungo processo storico, siamo arrivati nella nostra civiltà a un punto di terribile conflitto all’interno dell’uomo perché c’è un enorme dislivello tra il progresso scientifico e quello spirituale. E noi continuiamo ancora ad aumentare questo dislivello, motivo principale della nostra drammatica situazione. Siamo una civiltà al limite della distruzione atomica, proprio a causa di tale divario tra queste sfere dell’uomo.
E tu, come ti poni nei confronti del mondo?
Tendo ad avere un approccio con il mondo più a livello emotivo e contemplativo. Non cerco di ragionarci su, ma di percepirlo quanto può fare un animale o un bambino e non un adulto che è in grado di ragionare sulla vita traendone le conclusioni.
Andrej cosa vuoi dire ai giovani?
Vorrei semplicemente che imparassero ad amare di più la solitudine, a stare a tu per tu con se stessi. Mi sembra che il guaio della gioventù sia quello di tendere ad aggregarsi per portare avanti un azione rumorosa, addirittura aggressiva per non sentirsi soli, il che è piuttosto triste. L’individuo deve imparare fin dall’infanzia a vivere da solo e questo non significa essere soli. Significa non annoiarsi con se stessi, che è un segno di pericolo, quasi di malattia.
Ami i bambini?
I bambini sono innocenti così come gli animali, che lo sono proprio per la loro natura. Invece l’uomo, che ha la capacità di scegliere tra il bene e il male, impara poco a poco a mentire perché così ritiene di poter vivere con maggiore felicità e di ottenere un maggior numero di beni. Prima magari con la sola diplomazia, per passare poi alle menzogne vere e proprie.
Cosa rappresenta per te l’acqua?
L’acqua, i ruscelli, i fiumiciattoli, mi piacciono molto, è un’acqua che mi racconta molte cose. Il mare, invece, lo sento estraneo al mio mondo interiore perché è uno spazio troppo vasto per me. Non mi fa paura, è semplicemente una superficie troppo monotona. A me, per il mio carattere, sono più care le cose piccole, il microcosmo, piuttosto che il macrocosmo. Le enormi distese mi dicono meno di quelle limitate. Forse per questo amo molto l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti della natura. Cercano di concentrarsi su uno spazio ristretto e di vedervi il riflesso dell’infinito.
Hai mai conosciuto la miseria?
Ho fatto la fame, la fame sul serio, cioè quando non puoi sperare in un pezzo di pane per il giorno dopo. E’ una sensazione dura, che umilia l’individuo, ma che ti insegna anche la compassione per gli altri. Chi ha fatto veramente la fame non potrà mai essere avido
Che cos’è la ricchezza?
Per me la ricchezza non significa niente di speciale, mi potrebbe solo garantire quel tipo di vita che vorrei vivere e dato che io desidero una vita molto semplice, non credo che vorrò mai essere ricco. La ricchezza è una cosa relativa e l’uomo non ha bisogno di essa perché quando ce l’ha comincia a cambiare dentro, diventa avido, comincia a difendersi dagli altri, a difendere la propria ricchezza e poi ne diventa schiavo.
Che cosa ti spaventa di più nella vita?
Avverto la natura inerme dell’essere umano, compresa anche la mia, la nostra debolezza davanti al mondo e alla natura, soprattutto di fronte ad un altro essere ostile. Scontrarsi con l’ostilità umana è la cosa peggiore che possa esistere.
Che opinioni hai riguardo la donna?
La cosa a cui più tengo è che la donna rimanga tale. Io non capisco quando una donna chieda dalla vita qualcosa di diverso, un approccio particolare, non più come donna ma quasi come uomo. Le donne la chiamano eguaglianza. La bellezza della donna, il suo essere unica, sta proprio nella sua essenza che non è diversa, bensì opposta a quella dell’uomo. Mantenere questa propria essenza è il suo dovere più importante. Io non ho mai trovato una donna attraente priva delle sue prerogative, compresa la debolezza, la femminilità, il suo essere l’incarnazione dell’amore in questo mondo. Ho un grande rispetto per le donne.
giovedì 8 maggio 2014
mercoledì 7 maggio 2014
lunedì 5 maggio 2014
domenica 4 maggio 2014
Mutoid Waste Company, la necessità del cambiamento
“l’idea è di rappresentare sempre qualcosa di originale e di lasciarsi trasformare: niente è finito per sempre e la natura delle cose commerciabili è solo pattume, se tu non riesci a lavorare ed a intervenire sopra queste cose avrai solo pattume. Di questi tempi ognuno ha la sua mutazione in se stesso, ed essa corrisponderà ai suoi bisogni e al suo lavoro.”
Joe Rush ( Cofondatore con Robin Cooke della Mutoid Waste Company)
sabato 3 maggio 2014
giovedì 1 maggio 2014
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