Intervista ad Andrej Tarkovskij
Chi sei?
Io
non so chi sono e, a mio parere, chi siamo è quello che ognuno di noi
sa con minore esattezza. E’ molto più facile esprimere il giudizio sugli
altri. Di noi stessi sappiamo molto poco e il problema è che siamo
incapaci di rivolgerci con attenzione ai problemi interiori dell’uomo.
Sei felice di essere venuto al mondo?
Felice
non è la parola giusta. A mio parere questo mondo non è un luogo dove
vivere felici e non è stato creato per la felicità dell’uomo, anche se
sono in molti a pensare che è questa la ragione della propria esistenza.
Penso che siamo su questa terra per lottare affinché dentro di noi
lottino il bene e il male, perché il bene vinca e noi ci si arricchisca
spiritualmente.
Andrej parlami della tua infanzia
La
mia infanzia la ricordo molto bene perché è stato il periodo più
importante della mia vita. Quello che ha fissato le impressioni e quello
che ha poi preso corpo successivamente nel periodo adulto ed è quel
momento nella vita dell’uomo che ne determina tutto il suo futuro,
specialmente se è un futuro legato all’attività creativa, all’arte, ai
problemi interiori, psicologici. Già Anna Achmatova, la grande
poetessa russa, parlava dell’importanza dell’infanzia, quell’infanzia
che la sostenne per tutta la vita nella sua opera. In una parola, l’uomo con l’infanzia nutre tutta l’attività creativa del periodo adulto.
I miei genitori si separarono nel 1935 o ’36. Vivevo con mia madre, la
nonna e mia sorella; in effetti sono cresciuto in una famiglia senza
uomini e sono stato allevato da mia madre. Forse questo ha avuto una
grande influenza sulla formazione del mio carattere.
La casa
della mia infanzia per me è una casetta in un bosco a novanta/cento
chilometri da Mosca, dove abbiamo vissuto cinque anni prima della
guerra. Ci fu un episodio: un giorno mio padre venne da noi di notte e
voleva che mia madre mi lasciasse andare a vivere con lui. Mi ricordo
che mi svegliai, sentii quella conversazione, mia madre piangeva e
anch’io piangevo ma piano perché non mi sentisse. Avevo già deciso che
se anche fosse stata mia madre a chiedermelo, io non sarei mai andato a
vivere con lui anche se per tutta la vita ho sentito la mancanza di un
padre.
La guerra è stata per noi molto dura. Mio padre era andato
al fronte e ci mancava molto. Si continuava ad aspettare lettere che
arrivavano solo raramente. Comunque tornò senza una gamba, dopo
un’operazione molto difficile in un ospedale militare al fronte. Tornò
col grado di capitano e con uno dei riconoscimenti più alti
dell’esercito: l’ordine della stella rossa. Due soli pensieri occupavano
la mia mente infantile: che la guerra finisse e che mio padre tornasse
da noi. Tutta la mia infanzia è legata a mia madre e si capisce, vivevo
con lei, mi educava e si prendeva cura di noi. Ebbe una vita molto
difficile: aveva terminato quello che adesso si chiama Istituto di
letteratura e lì conobbe mio padre, ma quando ci lasciò ella non poté
più occuparsi di letteratura e con due figli sulle spalle non riuscì a
dare gli esami per avere in mano qualche diploma e andò a lavorare in
una tipografia di Mosca. E tutto quello che ho avuto nella vita e le
cose più belle che ho, le devo a mia madre, ai sacrifici per farmi
diventare quello che sono adesso. Ci fu un momento veramente difficile
nella mia vita: ero finito in una vecchia compagnia ed ero molto
giovane, avevo circa vent’anni e mia madre mi salvò in un modo molto
particolare mandandomi a lavorare con un gruppo di geologi in Siberia
dove rimasi un anno intero. Lavorai laggiù come raccoglitore, un
semplice operaio. A piedi girai le distese di neve nella taiga. La
Siberia, ancora oggi, è rimasta uno dei miei ricordi più belli.
Adesso pensi di aver trovato quello che cercavi da bambino?
Non
lo so, è una domanda difficile. E’ evidente che mia madre voleva che io
mi dedicassi all’arte, che la mia vita fosse legata all’arte. L’esempio
di mio padre era stato per lei importantissimo; lo amò molto, fino alla
fine dei suoi giorni. Voleva che gli assomigliassi in qualche modo e
così mi ritrovai nell’arte. Non divenni pianista, né direttore
d’orchestra, come avrei voluto, né pittore, scultore, tutte cose che
pure avevo studiato. A volte mi domandano se ho dei rimpianti. Certo mi
dispiace non occuparmi di musica, non essere un direttore d’orchestra,
anche perché sarebbe una professione meno dura per me e non si può
neanche dire che io in seguito abbia trovato quello che avevo cercato
nell’infanzia. Allora non volevo diventare né pittore, né musicista. Il mio carattere somigliava più a quello di una pianta: non pensavo molto, piuttosto sentivo, percepivo.
Quando
rivado all’infanzia, mi torna in mente un tempo in cui davanti a me
c’era tutta la vita e io ero immortale e tutto era possibile,
realizzabile. Chissà se l’infanzia è andata o è rimasta con me. A
volte se penso che mi ha lasciato, mi sento perduto. Ritengo però che
siano le sensazioni dell’infanzia ad avermi abbandonato ma che lei,
l’infanzia stessa, sia ancora accanto a me, come base prima che sostiene
la mia attività creativa e anche come spinta alla creazione. Penso che
se si fosse perduta nell’oblio, non potrei fare niente nel cinema.
Pensi che la scelta del cinema sia stata per te la strada giusta?
Le mie prime impressioni sul cinema sono state strane; non capivo, non riuscivo a capire che cosa fosse il cinema. Non lo sentivo, non lo percepivo ma sapevo che era una professione dai notevoli aspetti tecnici.
Che ci si potesse esprimere con il cinema come con la poesia, la musica
o la letteratura, non l’avevo proprio capito. Anche dopo aver girato
l’Infanzia di Ivan, non avevo ancora afferrato quale fosse il ruolo del
regista. E’ stata una ricerca, un cercare a tentoni dei momenti di contatto con la poesia.
E solo dopo aver girato questo film, mi accorsi che era possibile
attraverso il cinema venire in contatto con un’essenza spirituale.
L’esperienza dell’Infanzia di Ivan è stata per me importantissima perché
prima di allora non avevo la minima idea di che cosa fosse in fondo il
cinema. Neanche adesso sono così convinto di sapere che cos’è il cinema.
A parer mio è un mistero, immenso, come del resto ogni altra forma
d’arte.
A quel tempo l’Infanzia di Ivan provocò grosse polemiche fra i critici. Dopo tanti anni cosa ne pensi?
La
polemica sull’Infanzia di Ivan fu condotta prevalentemente da Sartre e
da Moravia. Quest’ultimo mi criticò e Sartre mi difese. Devo dire
comunque che lessi l’articolo di Moravia con estremo interesse. In effetti distruggeva il mio film pezzo per pezzo, ma lo lessi con piacere perché la
sua critica era ad un livello così alto, il suo pensiero così preciso e
ben formulato che fu quasi un piacere essere criticato da lui. Per quanto riguarda Sartre mi difendeva da posizioni troppo filosofiche e speculative perché la sua difesa mi convincesse.
Per molti il cinema è soltanto un lavoro. Per te Andrej che cos’è il cinema?
Non
sono mai riuscito a separare la mia vita dai film che facevo. I film
sono sempre stati per me una parte della mia esistenza e per poter
girare un film ho sempre dovuto operare delle scelte fondamentali. Molti
riescono a separare la propria vita dai film che realizzano. Conosco
molti che vivono in un modo e nei film dicono tutt’altra cosa, esprimono
tutt’altre idee. Riescono a scindere la propria coscienza dai film che
fanno. Io non ci sono mai riuscito: per me il cinema non è una professione, è la mia vita ed ogni film lo considero un azione della mia vita.
Che ne pensi del cinema d’autore?
Per
me coloro che rimarranno nella storia del cinema come autori, sono
tutti poeti. A mio avviso esiste una legge: il cinema d’autore è un
cinema di poeti e tutti i grandi registi contemporanei sono dei poeti.
Ma
che cos’è un poeta nel cinema? E’ un regista che crea il proprio mondo e
non tenta di riprodurre la realtà che lo circonda. Ed’è questo loro
cinema che noi definiamo d’autore: cinema poetico.
Andrej tuo padre era già allora uno dei più grandi poeti russi. Parlami di lui.
Mio padre è senz’altro il
più grande poeta russo, con una possente intonazione lirica e carica
spirituale nella sua poesia. E’ un poeta in forma pura, un poeta per il
quale la cosa principale è il concetto interiore, spirituale della vita,
il senso del debito profondo che egli avverte nei confronti della
propria terra, della propria patria e del proprio ruolo.
Che cos’è l’arte?
Prima
di formulare un concetto, in questo caso sull’arte, dobbiamo rispondere
a un’altra domanda molto più vasta, ovvero qual è il senso
dell’esistenza dell’uomo su questa terra. Forse il fine nostro su questa
terra è quello di innalzarci spiritualmente. Se la nostra vita tende a
questo arricchimento spirituale, l’arte è uno dei mezzi per arrivarci.
Si, almeno così io ritengo, in armonia con la mia definizione sul senso
della vita. Non so, c’è chi afferma che l’arte serva all’uomo per
conoscere il mondo, che l’arte è conoscenza come qualunque altra
attività intellettuale dell’umanità. Io, tanto per cominciare, non credo
troppo a questa possibilità di conoscenza. Essa ci distoglie
sempre più da quello che dovrebbe essere lo scopo principale della
nostra vita, e quanto più ne sappiamo, tanto meno ne sappiamo perché
andando in profondità, perdiamo in ampiezza. L’arte serve all’uomo
per elevarsi spiritualmente, innalzarsi al di sopra di se stesso, per
usare ciò che noi definiamo “libero arbitrio”.La pressione cui è
sottoposto Rublev non è un’eccezione: ogni artista è sempre
sottopressione e non lavora mai in condizioni ideali. Inoltre, se tali
condizioni esistessero, forse non esisterebbe il suo lavoro perché
l’artista non vive in un vuoto senz’aria. Una pressione deve esserci
anche se non saprei dire di che tipo. E l’artista esiste proprio perché
il mondo non è perfetto e l’arte non sarebbe necessaria a nessuno se il
mondo fosse il regno dell’armonia e della bellezza. L’uomo non
ricercherebbe in occupazioni collaterali l’armonia perché vivrebbe già
in essa. L’arte nasce da un mondo mal congeniato, ricerche di accordi e
di significati che si esprimono nei rapporti armonici tra gli uomini,
tra l’arte e la vita, tra il tempo e la storia. Un altro tema per me
molto importante è quello dell’esperienza dell’uomo. Con questo film volevo dire che non è possibile trasmettere la propria esperienza personale, imparare da qualcuno a vivere.
Bisogna solo vivere e trarne qualche conclusione che non puoi lasciare
agli altri in eredità. Spesso si sente dire: bisogna usare l’esperienza
dei nostri padri. Ma sarebbe troppo semplice perché ognuno di noi deve
farsi per conto proprio una sua esperienza e quando ci arriviamo è il
momento di morire, purtroppo, e non abbiamo il tempo di usarla. Intanto
vengo su le nuove generazioni che si rifiutano di ascoltare i vecchi e
fanno bene, cercano una loro esperienza e quando la trovano anche la
loro vita è alla fine. E’ la legge della vita, il suo significato.
Il
cinema è la forma più infelice d’arte, in quanto dipende in misura
notevolissima al denaro e non soltanto perché un film costa molto, ma
anche perché se ne fa commercio come con le gomme da masticare o le
sigarette. Il principio è che un film è buono se si vende bene e se noi
pensiamo che il cinema è arte, ci sembra allora assurdo impostare così
il problema in quanto sarebbe assurdo dire che l’arte è buona soltanto
se la si vende bene. Se vogliamo attrarre le masse, non possiamo
aspettarci opere di grande ingegno poetico.
Che cosa ne pensi della scienza, nel bene e nel male?
Si
può dire che dopo un lungo processo storico, siamo arrivati nella
nostra civiltà a un punto di terribile conflitto all’interno dell’uomo
perché c’è un enorme dislivello tra il progresso scientifico e quello spirituale.
E noi continuiamo ancora ad aumentare questo dislivello, motivo
principale della nostra drammatica situazione. Siamo una civiltà al
limite della distruzione atomica, proprio a causa di tale divario tra
queste sfere dell’uomo.
E tu, come ti poni nei confronti del mondo?
Tendo ad avere un approccio con il mondo più a livello emotivo e contemplativo.
Non cerco di ragionarci su, ma di percepirlo quanto può fare un animale
o un bambino e non un adulto che è in grado di ragionare sulla vita
traendone le conclusioni.
Andrej cosa vuoi dire ai giovani?
Vorrei semplicemente che imparassero ad amare di più la solitudine,
a stare a tu per tu con se stessi. Mi sembra che il guaio della
gioventù sia quello di tendere ad aggregarsi per portare avanti un
azione rumorosa, addirittura aggressiva per non sentirsi soli, il che è
piuttosto triste. L’individuo deve imparare fin dall’infanzia a vivere
da solo e questo non significa essere soli. Significa non annoiarsi con
se stessi, che è un segno di pericolo, quasi di malattia.
Ami i bambini?
I
bambini sono innocenti così come gli animali, che lo sono proprio per
la loro natura. Invece l’uomo, che ha la capacità di scegliere tra il
bene e il male, impara poco a poco a mentire perché così ritiene di
poter vivere con maggiore felicità e di ottenere un maggior numero di
beni. Prima magari con la sola diplomazia, per passare poi alle menzogne
vere e proprie.
Cosa rappresenta per te l’acqua?
L’acqua,
i ruscelli, i fiumiciattoli, mi piacciono molto, è un’acqua che mi
racconta molte cose. Il mare, invece, lo sento estraneo al mio mondo
interiore perché è uno spazio troppo vasto per me. Non mi fa paura, è
semplicemente una superficie troppo monotona. A me, per il mio
carattere, sono più care le cose piccole, il microcosmo, piuttosto che
il macrocosmo. Le enormi distese mi dicono meno di quelle limitate.
Forse per questo amo molto l’atteggiamento dei giapponesi nei confronti
della natura. Cercano di concentrarsi su uno spazio ristretto e di
vedervi il riflesso dell’infinito.
Hai mai conosciuto la miseria?
Ho
fatto la fame, la fame sul serio, cioè quando non puoi sperare in un
pezzo di pane per il giorno dopo. E’ una sensazione dura, che umilia
l’individuo, ma che ti insegna anche la compassione per gli altri. Chi ha fatto veramente la fame non potrà mai essere avido
Che cos’è la ricchezza?
Per
me la ricchezza non significa niente di speciale, mi potrebbe solo
garantire quel tipo di vita che vorrei vivere e dato che io desidero una vita molto semplice,
non credo che vorrò mai essere ricco. La ricchezza è una cosa relativa e
l’uomo non ha bisogno di essa perché quando ce l’ha comincia a cambiare
dentro, diventa avido, comincia a difendersi dagli altri, a difendere
la propria ricchezza e poi ne diventa schiavo.
Che cosa ti spaventa di più nella vita?
Avverto
la natura inerme dell’essere umano, compresa anche la mia, la nostra
debolezza davanti al mondo e alla natura, soprattutto di fronte ad un
altro essere ostile. Scontrarsi con l’ostilità umana è la cosa peggiore
che possa esistere.
Che opinioni hai riguardo la donna?
La
cosa a cui più tengo è che la donna rimanga tale. Io non capisco quando
una donna chieda dalla vita qualcosa di diverso, un approccio
particolare, non più come donna ma quasi come uomo. Le donne la chiamano
eguaglianza. La bellezza della donna, il suo essere unica, sta proprio
nella sua essenza che non è diversa, bensì opposta a quella dell’uomo.
Mantenere questa propria essenza è il suo dovere più importante. Io non
ho mai trovato una donna attraente priva delle sue prerogative, compresa
la debolezza, la femminilità, il suo essere l’incarnazione dell’amore
in questo mondo. Ho un grande rispetto per le donne.