Osip Emil’evič Mandel’štam
Nel novembre del 1933 scrive un libello contro Stalin nel quale prende in giro “Il montanaro del Cremino” e denuncia la grave carestia provocata dalla collettivizzazione forzata; viene attaccato sulla «Pravda». Nel ’34, per componimenti «antisovietici», è esiliato per tre anni a Cerdyn’, negli Urali, a oltre mille chilometri da Mosca. Qui, ricoverato in ospedale per una forma di miocardite, tenta il suicidio. Per intervento di Bucharin la pena è commutata in residenza coatta. Sceglie Voronež, nel sud della Russia, dove vive con la moglie dal ’35 al ’37. Qui compone le poesie dei «Quaderni di Voronež». Rientrato a Mosca, non ottiene il permesso di residenza; tenta di stabilirsi a Leningrado. La sua salute peggiora. Nel ’38 è di nuovo arrestato e condannato a cinque anni di deportazione «per attività controrivoluzionaria». Internato in un lager di transito presso Vladivostok, muore – ufficialmente – il 27 dicembre. Il suo ricordo fu conservato, per lungo tempo clandestinamente, dalla moglie Nadežda che aveva imparato a memoria numerosi testi poetici del marito.
Non sono ancora morto, non sono ancora il solo,
mentre con l’amica mia accattona
mi diletto della vastità delle pianure
e della fame, della foschia e bufera.
mi diletto della vastità delle pianure
e della fame, della foschia e bufera.
In splendida miseria, nel lussuoso squallore
vivo solo – tranquillo e confortato –
¬Benedetti giorni e notti,
e l’innocente, soave voce del lavoro.
vivo solo – tranquillo e confortato –
¬Benedetti giorni e notti,
e l’innocente, soave voce del lavoro.
Sventurato colui che, come la sua ombra,
spaventa il latrato e il vento falcia,
e povero colui, che solo a metà vivo
l’elemosina chiede alla sua ombra.
spaventa il latrato e il vento falcia,
e povero colui, che solo a metà vivo
l’elemosina chiede alla sua ombra.
Gennaio 1937. Voronež.