Genericamente generici - Critica alla
Critica
di Arthur Frame.
Mentre nella musica la classificazioni
consentono una qualificazione identificativa formale: Musica
classica,
popolare, etnica, leggera, jazz, rock, heavy metal, pop, elettronica, dance
ecc, nel Cinema tutto è affastellato nello stesso cestone, tuttal’piu’ ci sono
i generi: triller, horror, commedia, fantascienza, fantasy, drammatico, western
che si riferiscono esclusivamente ai temi trattati cioè ai contenuti, nulla viene esplicitato nel “genere”
sulla forma, cioè sul
linguaggio, come invece accade nella musica. Non solo, ma nel cinema le classi
sono grossolane, stipate in due grandi tipologie: cinema impegnato d’autore
con derive sperimentali
o cinema commerciale d’intrattenimento. Questa bipolarità è la faccia della stessa medaglia e
tende a omologare a unificare il cinema in un solo terribile monostile (come la
“mononota” di Elvio) perchè
nell’80% dei casi il linguaggio è lo stesso per entrambi gli ordini commerciale/autoriale. Nulla
fa supporre per esempio, a paragone con la letteratura, una differenziazione
marcata tra il cinema di prosa e quello di poesia. Due tipologie che si distinguono
formalmente e linguisticamente con decisione l’una dall’altra. Il cinema di
poesia, cioè quello
visionario, ( Dreyer, Tarkowskij, Fassbinder, Bresson, Morrysey, Rocha... via
via fino al Terzo Cinema contemporaneo) ha preso le distanze dal pensiero
unico tanto caro alla
critica generalista. Mettendo sullo stesso piano (nel caos semiotico piu’ totale)
film che in comune forse hanno solo il fatto di essere fisicamente
impressionati nella pellicola. Questa aberrazione è epistemologicamente
angosciante perchè troviamo nello stesso scaffale, nello stesso dizionario,
nello stesso corso universitario, nel medesimo palisesto (al cinema no perchè i
film di poesia sono banditi), film
e autori di narrativa prosaica assieme a opere di poetica lirica visionaria senza che questa differenza sia
esplicitata con decisione semiologica. Moretti e Fassbinder cosa potranno mai
avere in comune da un punto di vista artistico o linguistico? C’è qualcuno che
oserebbe paragonarli? Aver utilizzato lo stesso supporto cioè la pellicola non
autorizza a dichiarare che entrambi facciano del “cinema” d’autore. Sarebbe
come asserire che Baricco e Joyce sono entrambi degli scrittori. La cosa suona
male; è intronata, mancano dei passaggi.
Queste sono le conseguenze dell’omologazione storicista, dello
strutturalismo semiologico e anche del famigerato pensiero relativo e/o debole,
dal quale faremmo bene a liberarci al piu’ presto.
Che cosa hanno in comune Bach e Pupo?
entrambi fanno musica? Certo entrambi appartengono al genere umano e poi?
Purtroppo non abbiamo avuto nel cinema una Visione come quella che Francesco Arcangeli ha avuto nel
raccontare la pittura dal Romanticismo all’Informale. Il Cinema, se vuole sopravvivere come arte espressiva, deve avere il coraggio di prendere le
distanze da se stesso e quello poetico visionario deve avere l’ardimento di rivendicare un
proprio spazio vitale anche retroattivamente. Ancora una volta dovranno essere
gli autori a brandire una posizione decisa. Certo sarà dura affrontare la
“cricca” sempre piu’ ignorante, autocelebrativa, supponente,
partitocompiacente, festivaliera, salottiera, discriminatoria, corrotta,
gerontocratica e pessima anche da un punto di vista pedagogico, dei “mediatori
culturali” i burocrati che picchettano i posti strategici della comunicazione
in Italia; coloro che decidono cosa deve essere fatto e cosa no, cosa deve essere
visto e cosa no, cosa la gente puo’ apprezzare e cosa è meglio nascondere
A cio’ fanno eccezione “solitari”
pionieri noti e meno noti, giovani e vecchi che si sono dati e si danno un gran
da fare per creare network alternativi, movimenti, pensieri e azioni. A tutti
loro la nostra riconoscenza. Resta pero’ irrisolto il problema gnoseologico
linguistico del cinema ammassato nel medesimo cestone e il videoanalfabetismo
dilagante anche tra i piu’ giovani.
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