lunedì 3 settembre 2012
domenica 2 settembre 2012
ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI
L'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, secondo l'UNESCO non ha termini di paragone nel mondo, ma oggi, privato dei fondi necessari al suo pieno funzionamento, rischia di dover chiudere. È inaccettabile assistere a questo avvilimento dell'Istituto e alla sepoltura della sua biblioteca in un triste deposito, un ex capannone industriale di Casoria.
L'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, secondo l'UNESCO non ha termini di paragone nel mondo, ma oggi, privato dei fondi necessari al suo pieno funzionamento, rischia di dover chiudere. È inaccettabile assistere a questo avvilimento dell'Istituto e alla sepoltura della sua biblioteca in un triste deposito, un ex capannone industriale di Casoria.
sabato 1 settembre 2012
TRIESTE e la decadenza evoluta
Giusi
Rodolfo
Premetto, io vengo da fuori, sono un ospite qui.
Giusi
Ciao Rodolfo, ho in testa una vaga idea, per il momento, di trasferirmi a Trieste. Se hai qualche minuto libero da dedicarmi, potresti fornirmi qualche notizia sulla tua splendida città? Grazie
Rodolfo
Premetto, io vengo da fuori, sono un ospite qui.
Il male penetrante di questa
città è l’incapacità da parte delle incalcolabili associazioni presenti e
operanti nel territorio di collaborare assieme. Esiste un individualismo
piuttosto spinto e feroce. E’ difficile fare sistema, e quindi massa critica.
Si preferisce spesso, in modo assolutamente masochista, essere e porsi come
vittime sacrificali di una eminente e fatalista decisione che viene dall’alto.
Questo insensato egotismo, infossa la città.
Jacopo, mio nipote, ospite da me
qualche giorno, dice che qui l' ordine iniziatico e la segretezza risiedono in ogni persona come un
tratto distintivo. Storicamente, forse, questa diffidenza e chiusura del Sè è
giustificata dagli incalcolabili cambi di Stato e Status della città; dai
regimi che l’hanno travolta, dal sospetto e sfiducia che gli autoctoni hanno
nei confronti del nuovo, che è tanto
bello e curioso finchè non diventa stanziale e quindi vecchio, fagocitato e digerito da un impianto che fa
dell’oblio la sua serena e mortifera sorte. Trieste è un pò come l’espressione
progressista della morte (mi ricorda le macabre scultura di Gunter von Hagens o le splendide marionette di Podrecca) finemente o grossolanamente imbalsamata in cui
l’unica anima viva è il mare, non come mezzo di "trasporto" sussitenza, scambio e commercio, ma come fine edonistico privato, estetico, naturalistico. L’immobilismo contemplativo dipende
forse dal non ancora risolto conflitto etnico interno tra italiani e sloveni e
dalla paura di essere un’Italia declassata o una Slovenia, Austria, retrocesse.
Trieste è un bellissimo posto dove tutto è possibile e contemporaneamente viene
sistematicamente e immancabilmente negato il futuro, cioè la prospettiva, quasi
che questa fosse già abbastanza definita dai ricchi palazzi stile impero che la
abitano, anzi la decorano. Jacopo, innamorato della città, dice che questi palazzi sono
un’invocazione verso il cielo, per me forse, solo maschere del vuoto, facciate neoclassiche
o liberty senza spessore. La tanto amata Piazza d’armi, (dalla quale Mussolini proclamò le leggi razziali), chiamata Piazza Unità
d’Italia, per me, viziato dal caldo abbraccio della Serenissima, non è che un campo
di volo per aereomodelli costruito da un pasticcere viennese. Trieste è un
Porto Franco smontato e non opportunamente sostituito da alcunchè di concreto.
E’ insomma una grande opportunità sprecata. In tutto questo decadentismo, il viandante, il
povero, il naufrago solitario e l'animale abbandonato e ferito, trovano, forse, una delle città piu’ ospitali al mondo,
un palcoscenico vuoto e un rifugio insperato. Trieste per il poeta errante, per il gatto, per il cane e per il lupo, è capace di
insospettabile generosità e persino d’amore, ma attenzione è un amore
schizofrenico. Per la gestione dei profughi della ex jugoslavia per esempio, non
quelli dell’Esodo dall’Istria, parlo della gente in fuga dalla mattanza
fratricida degli anni novanta, la disponinilità è stata zero: L’Italia? più a
Sud. A Trieste risiedono luoghi e antri unici; siti di una bellezza struggente
come San Giusto intrisa di millenaia cristianità, l’imponente sinagoga in stile
siriaco babilonese, le chiese serbo e greco ortodosse che concretizzano
l’universalità e la complessità culturale di questa "Striscia di Gaza". Ci sono le
Osmize carsiche dove si puo’ gustare l’essenza popolare di questa aspra, originale,
genuina terra. E la follia del vento e della gente, la pura follia che scardina
i cancelli della ragione. Qui esiste, come ti dicevo, ma lo ribadisco, anche una specie di trasporto sincero taciuto e
operato senza affettazione alcuna nei confronti dei più deboli e degli esseri vinti. Sono naturali atteggiamenti di grande levatura morale e a volte
persino politica. A Trieste la donna è libera e sovrana. C'è grande attenzione nei confronti delle madri e dei bambini, ci sono parchi bellissimi in cui poter giocare e una assistenza sanitaria aggiornata e presente. Progetti avveniristici e utopie sociali. Si
celebra nei dintorni il silenzio energetico dello sguardo verso l’infinito: divino e
silenzioso della meditazione scientifica, nonostante un traffico sferragliante,
concitato e inspiegabile che somiglia piu’ a un gesto scaramantico di devozione
verso quella grande città che Trieste non è. Ci sono circoli particolari di cui ho solo sentito parlare, c'è insomma da dar via libera ai propri capricci (però se devi fare un lavoro serio, continuativo, attenzione...). Poi ti consiglio di frequentare Piazza Garibaldi in cui i bar serbi, comperati dai cinesi, offrono ancora originali e genuine attrazioni locali, danze e musiche balcaniche, in questi locali dimenticati da Dio, si può fumare. Comunque se sei una persona curiosa la città ha mille segreti da svelarti e infinite occasioni non omologate. Per te che vieni da Roma, che io conosco e che non è più una città, questo luogo potrebbe esserti fatale, potresti innamorartene e non abbandonarlo più. Trieste non smette di far parlare
di sè pur non facendo niente, pur restando muta, immutata e immutabile,
adagiata sul Carso a guardare il tramonto intramontabile, specchiando i suoi
occhi azzurri nell’appassionata bellezza marina. Qui vinti e vincitori, sani, normali e pazzi, uomini e donne di ogni fede religiosa e tendenza sessuale, si danno
appuntamento a Barcola o alla Costa dei Barbari, comunque al mare trasparente
che qui inzia a riscaldarsi ad
Aprile e a incupirsi solo a fine Ottobre.
ECTOPLASMI COMUNICAZIONALI DALL'ADE DELL'IMPRESA!
Il "Pecha Kucha" è una tecnica di esposizione lampo: raccontare tramite testo e foto progetti in modo esaustivo in pochi secondi. La "fast story" giapponese è stata adottata come metodo di diffusone delle idee da molte aziende mondiali. L'imperativo è: accorciare i tempi. Ma quali tempi? Di riflessione? La sola tecnica conosciuta fino ad ora di abbreviare il tempo, che io sappia, è il suicidio! Sembra che focalizzare l’attenzione in poche battute nelle riunioni d'impresa sia molto "trendy". Infatti bisogna raccontare tutto in sei minuti e quaranta secondi, compresi gli "effetti collaterali". In questo modo si risulta veramente bravi, competitivi, con le idee chiare e, soprattutto, veloci! Avendo la disponibilità e complicità di un partner potremmo definire il Pecha Kucha una "sveltina" concettuale, ma se la presentazione la si fa da soli, forse il termine "kucha" è inappropriato"
Artur Frame
Immaginiamo cosa potrebbe accadere se questa pratica, il "pecha kucha" fosse estesa, per esempio, alla costruzione di una nuova avveniristica centrale nucleare.
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